sabato 28 novembre 2020

@naufraga_felice

Non era la penna 
a dare forma alle parole 
ma le parole
a quello schizzo d’inchiostro 
amaro.

Nella musica respiro le note del mio cammino. Non scrivo poesie, ma rammendo parti di vissuto che attraverso una porta giungono in questo nastro di dove. È un luogo impalpabile, soave, consolatorio: ristoratore silenzio. Come la vista della terra per il naufrago, come l'aurora del mattino per l’insonne. Nessun tormento. È più di una promessa: lasciarsi scaldare da ciò che il cuore matura. Lasciarsi guidare dal vento. Saranno come dei ricordi incrociati, delle storie mancate in questo nido infinito di mani. Amore profondo. Intenso. Reale. Infinito. Perduto e desiderato. Sperato. Ora, qui, sempre. 

Nel coraggio di essere e diventare, di cambiare e ancora, con forza, sospirare il domani.
#NaufragaFelice

lunedì 2 ottobre 2017

Il destino delle parole mancate

Dove finiscono le storie mai raccontate?
Una storia inventata e mai scritta, un pensiero inedito, una geografia immaginata e mai cartografata. È il destino delle parole mancate, delle utopie non dette ma sospirate, delle storie inventate ma mai raccontate, di muti Omeri e Ulisse senza gloria. Sono Parole in Fuga che non hanno ascoltato ragione e hanno scelto di affidarsi a Rosa. 

Ogni volta che dimenticavo un suo aneddoto, mio nonno mi ripeteva spesso di seguire "la vecchia signora" per ripercorrere il viaggio delle parole ormai ricordo.
Il sole caldo batte sul suo scialle arancio e sulla sua tempia scende una treccia lenta. Dopo anni trascorsi a cercarla, Rosa mi appare proprio come una vecchia signora: stanca, suscettibile a ogni minimo mutamento, a tratti anche bizzarra.

Già al primo incontro mi accorgo che Rosa non soffia solo per sé, ma avanza respiro anche per altri otto: gli otto suoi figli. Sono loro che trascinano, per errore o per protesta, – che non si dica per natura –, i ricordi mancati, le parole sfuggite. Il nonno però mi aveva istruita bene: «Se non fosse per Maestrale che confonde e per Scirocco che incanta, solo Libeccio e Tramontana potranno rivelarti dove trasportano i nostri ricordi». Ma non è il luogo di destinazione che più a me interessa, ma sapere quale viaggio essi intraprendano. Se partono con gli otto e loro se ne appropriano – magari, penso, ne faranno una storia per davvero – oppure, li custodiranno per averne compagnia, o solo per fare un dispetto a mamma Rosa. Perché è a lei che l’uomo pensieroso li aveva affidati per un momento.

Percorro una serie di tornanti, fin su una torre senza apparente uscita: è lì che intravedo le mie guide. Grecale mi chiede subito come dovrà chiamarmi: naufraga felice – rispondo. Un sorriso quasi beffarlo si disegna tra le nuvole che lo abbracciano affettuosamente. Subito mi indica un punto, mi avvicino: è un filo rosso. Come quello dei marinai che tengono stretto e legato alle proprie ancore, come tante mani nodose: alcune scritte e alcune no. Lungo un viale che si sposta insieme all'orizzonte, eccoli lì: i ricordi destati, i pensieri dimenticati, le parole smentite. Un lungo tracciato, un sentiero tortuoso tra le montagne alte e le spiagge basse, dove sono loro a spargere briciole di luce. Come lanterne magiche: quelle mani si uniscono e si tengono emanando suono e colore al rintocco del sole e della luna.

Ponente mi fa cenno di andar via e con l’occhio della coda rimprovera severamente Grecale, ma gli è impossibile negare un minimo di compiacimento. Ostro, il più timido, rimane nell'ombra e siede accovacciato su un mucchio di lucciole. Riconosco le voci dei miei personaggi e quelli di Pirandello. Non i sei, ma gli altri ventitré quelli in cerca di parole. Di parole e di amore. Nessuno si era veramente affezionato a loro tanto da addomesticarli, da costruire dei legami tali da non doverli affidare alla Signora Rosa dei Venti.

Devo seguire Levante che piano piano mi riconduce verso il basso, una larga campagna, dove i ricordi prendono di nuovo ossigeno, i pensieri si legano ad altre persone, le storie si mescolano e tornano a fantasticare insieme agli uomini. Lontano da Rosa ma non troppo, perché non sappia che i ricordi tornano, sotto varia forma, ma tornano.

Se c’è una cosa che ho capito grazie al consiglio di mio nonno, salendo su quella torre senza uscita, è che i venti sussurrano alle nostre orecchie storie già esistite, dimenticate o soltanto inseguite, e gli uomini ne affidano a loro qualcuna di più bella e luminosa. Perché Rosa e i suoi figli possano, nell'universo che c’è, girovagare, esplorare e donare per noi senza perdere la via verso casa. Perché l’immaginazione e la fantasia hanno bisogno di perdersi, di mescolarsi e di ritrovarsi, così come i ricordi e i racconti.

Lontano da chi li ha pensati per viaggiare nel tempo e giungere fin dove possono servire. Gli otto venti spirano e portano con sé memorie, vecchie e nuove, già di tutti o ancora di nessuno. Forse, non si perde niente: luce alla luce e buio al buio. L’uomo per un attimo o per tutta la vita rincorre i suoi sogni verso luoghi e giorni che non esistono ancora.

domenica 15 gennaio 2017

Venuti al mondo per amare

È forse necessario dover rinascere per lasciar correre giorni che ci hanno dato solo sofferenza? Qual è la chiave per sciogliere parole come “perdono” senza quel rancore che occlude ogni via d’uscita dal cuore? Dimentichiamo i fatti senza dimenticare i drammi.
Dimentichiamo noi stessi senza dimenticare gli altri. Che, forse, una bottiglia di assenzio non basterebbe per accomiatare ogni dispiacere? 
Non dimentichiamo nulla di ciò che ha contribuito ad edificare il nostro io, ricordiamoci dei nostri fratelli per sentirci ancora vivi.
Bisogna portare pazienza, non rancore. Qualcuno la chiama indifferenza, ma la nostra anima non conosce apatia. Non riusciamo forse a liberarci della malizia quanto siamo contenti? Quando siamo felici non ci viene voglia di essere buoni con tutti, come fosse Natale? Quella festa che unisce buoni e cattivi, uomini di buona volontà e non, credenti e miscredenti, atei e praticanti.
Bisogna pur giocare con i nostri sentimenti a volte, perché è così che prendiamo confidenza con noi stessi. Ah! Siamo così bravi a nascondere le cose, anche quando sono davanti ai nostri occhi... 

Ascoltate questa musica che viene dalla finestra. Non togliete le auricolari. 
Forse, vi serviranno ancora, non per isolarvi, 
ma per ritrovare quel prolungamento vitale che vi avvolge gli uni agli altri.
Dimenticate, fratell:  sciogliete le briglie che vi tengono legati. 
Non smettete di credere che quel broncio malandato una volta è stato un sorriso sincero.
Ricordate, fratelli: non lasciatevi addomesticare dall'oblio, 
dall'abitudine bugiarda di «così fan tutti». 
Non starò a ripetere proverbi, detti o massime. 
Lasciate ammorbidire il vostro cuore dalla mestizia 
e subito dopo dalla bontà di un atto compiuto anche se poco voluto.
Lì forse starà la vostra preghiera più efficace a un Dio che per principio vi ama: 
dimenticate di essere soli a sollevare le giornate come pietre. 
Imparate a costruire anche con le parole una vita più leggera, 
vissuta per voi e per gli altri, insieme a voi e agli altri. 
Senza dover affondare il viso nell'acqua gelida per svegliarvi la mattina. 
Siete già vivi: venuti al mondo per amare.

sabato 14 gennaio 2017

Il mio sogno? Essere comunque felice

Scrissi questa frase sul mio diario quando avevo 15 anni, pensando che se avessi scritto mai un libro o il primo di tanti - magari! - avrei voluto chiamarlo così.
A volte capita che in un frangente, in uno scorcio della nostra vita, si accenda una lampadina, una spina fa il suo dovere, un omino ci fa capire dov'è il dolore e il dolore dov'è il problema.
Io non ho la soluzione, ma nella mia vita corro alla ricerca di tante soluzioni, di piccole o di grandi spiegazioni. Se corro in avanti è perché a volte sento la paura che un domani non ci sia o che l’oggi sia troppo breve per scrivere ancora, per cercare, per trovare una risposta adeguata alle mie domande: le domande di tutti.
Perché un giorno possa trovare, trovarmi di fronte a un qualche assaggio di felicità. E poterla condividere con qualcuno. Elio Vittorini in un'intervista scrive: «Il primo dovere degli uomini è di essere felici. Questo non per se stessi, naturalmente, ma nella storia e di frodurre calore, mica è per sé, nel risultato, è per gli altri». Dunque assolviamo con entusiasmo al nostro dovere!
Perché alla fine ciò che conta è sentirsi felici e sentirsi davvero in pace con se stessi: quonte ad essa, di fronte al genere cui apparteniamo. Come il sole, per esempio, ha il dovere di splendere e prando avremo fatto il possibile per cercare una soluzione al nostro perché.
Tutti ne abbiamo uno, forse Uno. E io ci provo, anzi do il meglio di me stessa, anche in quel giorno fiacco, quando sento di aver perso l’unità, la forza e la determinazione.
Ma è nella gioia di ritrovarmi che riscopro tutto ciò che non avevo mai perso.
E ricomincio a correre, a scrivere le mie giornate su un nastro di dove che scorre veloce come i miei pensieri. Come se dovessi morire domani. Come se un oggi fosse troppo breve per sorridere ancora, per credere che tutto il nostro essere sia un vero miracolo. E se un nuovo battito di ciglia ci darà il tempo, questo, forse, non sarà nuovo, ma sarà ancora nostro.
A noi il dovere di correre, rialzarci, aiutare, sostenere e ricominciare. Ancora e ancora. E quando saremo stanchi di ballare la musica continuerà a suonare anche senza di noi. Dopotutto, si sa, l'Oggi ha già indossato le sue scarpe migliori per correre verso il Domani.


Un pagina del mio diario.


Post scritto nel novembre 2015. Citazione tratta dall'intervista a E. Vittorini, Scrivo libri ma penso ad altro, a cura di R. De Monticelli, “Il Giorno”, 24 febbraio 1959.

lunedì 14 novembre 2016

UOMO torna da TE

Che cos'è? È un senso di rabbia, poi di sconforto, ancora di dolore e poi di speranza. Ti rendi conto di essere niente fino al momento in cui il tutto che avevi non ti viene portato via, per sempre. 
Eppure, qualcosa rimane. E non è solo il dolore, sordo ma intenso. Non è solo paura, sommessa ma continua. Non è solo rabbia, anche se tanta. Perché quando non ci sono più risposte, sopraggiungono sensazioni di mille colori. Toni anche sbiaditi che l’occhio vede alla luce del sole. Quella luce che al nuovo giorno torna in ogni dove. Accada quel che accada, anche il sole torna a risorgere e a colorare l’azzurro di azzurro, il rosso di rosso, il verde di verde. 
Ogni cosa non torna al suo posto, ma torna. Una madre non è tornata ad abbracciare il proprio figlio e una sorella non è tornata a litigare con il proprio fratello. Una quotidianità diversa ma che torna. Un ritmo insolito, lento, un frastuono che ti fa sentire, assaporare e subito pensare che quel giorno un po’ diverso lo sia. Anche se devi tornare a fare la spesa, a farti la doccia, ad andare a scuola. Così provi rabbia, dolore e di nuovo una profonda nostalgia. Forse, accettazione di un presente che non è più passato. Volontà per un futuro che non sia come questo frangente. Ostinazione. Desiderio. Vuoto. Speranza. 
Perché sei uomo e l’uomo è tutte queste cose assieme, un po’ di questo e un po’ di quello. L’uomo e la sua comunità: gli esseri umani. Ogni essere umano è paura, bellezza, libertà, ostinazione, desiderio, e ancora paura. Paura di essere un po’ meno queste cose e un po’ troppo altro. Violenza. Violenza e ogni cosa bella non è più la stessa di prima. Eppure, torna a essere. Forse, è un miracolo. Forse, “semplicemente” la vita. E la morte. 
Se sei uomo e uomo lo sei, non puoi fingere di non esserlo, non tanto a lungo, per non vivere e morire senza tutte queste cose. L’amore, la gentilezza, la musica, la simpatia, l’umorismo. Non puoi, non essere ciò che sei. E se un uomo si rifiuta di esserlo, non smette di esserlo: si annienta. Ma anche l’uomo ad un certo punto torna ad essere. Quando vive, per un attimo. Quando muore, in un attimo. 
Il sole è tornato, la brezza anche, i colori tornano a risplendere di un bagliore nuovo. Forse, tutto questo non basta a ricordare all'uomo quanto male può fare non essere uomo e non godere di tutte queste cose? 
L’uomo è tornato ad essere uomo: ha fatto pace con se stesso e ha finalmente compreso quanto di bello ci sia nell'essere se stesso, anche solo per un attimo. Che sia di letizia, di amore o di speranza condivisa insieme. 

From Paris with... homme. 

Scritto il 14 novembre 2015, in seguito agli attentati di Parigi.

mercoledì 11 maggio 2016

E se per caso un viandante mi chiedesse...

«Dove stai andando?». «A casa», risponderei. «No, davvero», insisterebbe, «dove stai andando?».
Una domanda del genere mi fa pensare a quella volta che un signore, non saprei descriverlo, mi regalò una caramella alla fermata del bus (ah, direte, prima regola: non accettare cose dagli sconosciuti; una caramella poi!). Invece, accettai e rimasi ad ascoltare (non avevo dove andare prima dell’arrivo del bus) ciò che aveva da dirmi questo estraneo.
Come fosse un oracolo pronto a darmi tutte le risposte che cercavo, mi disse con sicurezza: «Sai, tu sembri proprio una a cui piace lottare, una tipa forte. Forse, non vincerai, perché hai bisogno più di battaglie che di vincite. Non sei bella ma sei un tipo, quel tipo che con la testa e con lo sguardo può incantare chi vuole, se lo vuole. Hai un gran potere sulle persone: fanne buon uso».
Ero giunta alla mia fermata. Scesi chiedendomi se ci fosse qualcosa di vero in quello che mi era accaduto poco prima. Frastornata, mi incamminai verso casa, mentre le mie mani continuavano a giocherellare con quella caramella all'arancia finita giù nella mia tasca.
Era un bel giorno. Avevo sbagliato direzione, ma non mi importava. Avevo scelto di andare comunque. Forse, avrei impiegato più tempo, ma a casa sarei arrivata lo stesso. 

Brescia
Post scritto qualche anno fa, oggi recuperato.

giovedì 21 aprile 2016

Naufraga Felice #ioho20anni


Ho 20 anni quando ascolto la musica e mi lascio trascinare da una spirale di emozioni: chiudo gli occhi e mi rivedo nel finale di Flashdance. Ho 20 anni quando guardo il mare inebriata come chi ha atteso profondamente quell'incontro, così agognato come l’estate. Ho 20 anni ogni volta che piove e mi viene voglia di sentire mia madre e chiacchierare con lei. Ho 20 anni ogni volta che vedo riflesso il mio viso nella vetrina di un negozio e mi chiedo il tragitto di pensieri percorso fin lì. Mi sono persa, di nuovo - mi dico. E con la stessa voglia di ritrovarmi preparo a memoria la valigia, dimentico qualcosa, e riabbraccio quell'orizzonte aperto che tanto mi era mancato.
Ho ancora 20 anni perché quando sento un nodo allo stomaco per la paura di sbagliare, soggiunge la parola che cercavo. Avrò sempre 20 anni, quando mi capiterà di naufragare su un’isola deserta, ma con la certezza ristoratrice di aver accolto quell'invito ad andare.

Scritto per IoDonna, Corriere della Sera. #ioho20anni