domenica 15 gennaio 2017

Venuti al mondo per amare

È forse necessario dover rinascere per lasciar correre giorni che ci hanno dato solo sofferenza? Qual è la chiave per sciogliere parole come “perdono” senza quel rancore che occlude ogni via d’uscita dal cuore? Dimentichiamo i fatti senza dimenticare i drammi.
Dimentichiamo noi stessi senza dimenticare gli altri. Che, forse, una bottiglia di assenzio non basterebbe per accomiatare ogni dispiacere? 
Non dimentichiamo nulla di ciò che ha contribuito ad edificare il nostro io, ricordiamoci dei nostri fratelli per sentirci ancora vivi.
Bisogna portare pazienza, non rancore. Qualcuno la chiama indifferenza, ma la nostra anima non conosce apatia. Non riusciamo forse a liberarci della malizia quanto siamo contenti? Quando siamo felici non ci viene voglia di essere buoni con tutti, come fosse Natale? Quella festa che unisce buoni e cattivi, uomini di buona volontà e non, credenti e miscredenti, atei e praticanti.
Bisogna pur giocare con i nostri sentimenti a volte, perché è così che prendiamo confidenza con noi stessi. Ah! Siamo così bravi a nascondere le cose, anche quando sono davanti ai nostri occhi... 

Ascoltate questa musica che viene dalla finestra. Non togliete le auricolari. 
Forse, vi serviranno ancora, non per isolarvi, 
ma per ritrovare quel prolungamento vitale che vi avvolge gli uni agli altri.
Dimenticate, fratell:  sciogliete le briglie che vi tengono legati. 
Non smettete di credere che quel broncio malandato una volta è stato un sorriso sincero.
Ricordate, fratelli: non lasciatevi addomesticare dall'oblio, 
dall'abitudine bugiarda di «così fan tutti». 
Non starò a ripetere proverbi, detti o massime. 
Lasciate ammorbidire il vostro cuore dalla mestizia 
e subito dopo dalla bontà di un atto compiuto anche se poco voluto.
Lì forse starà la vostra preghiera più efficace a un Dio che per principio vi ama: 
dimenticate di essere soli a sollevare le giornate come pietre. 
Imparate a costruire anche con le parole una vita più leggera, 
vissuta per voi e per gli altri, insieme a voi e agli altri. 
Senza dover affondare il viso nell'acqua gelida per svegliarvi la mattina. 
Siete già vivi: venuti al mondo per amare.

sabato 14 gennaio 2017

Il mio sogno? Essere comunque felice

Scrissi questa frase sul mio diario quando avevo 15 anni, pensando che se avessi scritto mai un libro o il primo di tanti - magari! - avrei voluto chiamarlo così.
A volte capita che in un frangente, in uno scorcio della nostra vita, si accenda una lampadina, una spina fa il suo dovere, un omino ci fa capire dov'è il dolore e il dolore dov'è il problema.
Io non ho la soluzione, ma nella mia vita corro alla ricerca di tante soluzioni, di piccole o di grandi spiegazioni. Se corro in avanti è perché a volte sento la paura che un domani non ci sia o che l’oggi sia troppo breve per scrivere ancora, per cercare, per trovare una risposta adeguata alle mie domande: le domande di tutti.
Perché un giorno possa trovare, trovarmi di fronte a un qualche assaggio di felicità. E poterla condividere con qualcuno. Elio Vittorini in un'intervista scrive: «Il primo dovere degli uomini è di essere felici. Questo non per se stessi, naturalmente, ma nella storia e di frodurre calore, mica è per sé, nel risultato, è per gli altri». Dunque assolviamo con entusiasmo al nostro dovere!
Perché alla fine ciò che conta è sentirsi felici e sentirsi davvero in pace con se stessi: quonte ad essa, di fronte al genere cui apparteniamo. Come il sole, per esempio, ha il dovere di splendere e prando avremo fatto il possibile per cercare una soluzione al nostro perché.
Tutti ne abbiamo uno, forse Uno. E io ci provo, anzi do il meglio di me stessa, anche in quel giorno fiacco, quando sento di aver perso l’unità, la forza e la determinazione.
Ma è nella gioia di ritrovarmi che riscopro tutto ciò che non avevo mai perso.
E ricomincio a correre, a scrivere le mie giornate su un nastro di dove che scorre veloce come i miei pensieri. Come se dovessi morire domani. Come se un oggi fosse troppo breve per sorridere ancora, per credere che tutto il nostro essere sia un vero miracolo. E se un nuovo battito di ciglia ci darà il tempo, questo, forse, non sarà nuovo, ma sarà ancora nostro.
A noi il dovere di correre, rialzarci, aiutare, sostenere e ricominciare. Ancora e ancora. E quando saremo stanchi di ballare la musica continuerà a suonare anche senza di noi. Dopotutto, si sa, l'Oggi ha già indossato le sue scarpe migliori per correre verso il Domani.


Un pagina del mio diario.


Post scritto nel novembre 2015. Citazione tratta dall'intervista a E. Vittorini, Scrivo libri ma penso ad altro, a cura di R. De Monticelli, “Il Giorno”, 24 febbraio 1959.