sabato 29 marzo 2014

VORREI FOSSE SEMPRE CAMPAGNA ELETTORALE. Storia di un piccolo paese


Vorrei fossimo sempre in campagna elettorale: i bar sono pieni, la gente sorride, ai ristoranti si dibatte, ci si confronta e riflette su chi, su cosa, per cosa…e forse, anche per chi. Per alcuni è solo una torta da spartire e naturalmente “cu sparti avi la megliu parti”, ma non sempre. Quando mi metto ai fornelli ho sempre paura di non essere riuscita a pesare bene le porzioni, perché la bilancia di casa ha smesso di funzionare nel '95, cosicché preparando i piatti, lascio il mio per ultimo, e quando tutti saranno pieni, allora sarà la mia volta! -Ah! Penserete! –Ma che brava ragazza! No, vi dirò io, è che non vorrei sentire lamentele, almeno non sulla quantità, perché so già che la qualità sarà scadente. E se il mestolo quel giorno tocca a me, avrò una bella responsabilità perché giri nel verso giusto, almeno a loro favore. Se rimarrò a bocca asciutta, so già che, l’indomani, chi sarà di turno in cucina farà lo stesso ed io avrò la mia maxi porzione! 
Forse, mi sarò dilungata sulla metafora culinaria, ma il punto è: e la mia parte? Come la vita insegna, il tempo non è un alleato, è un nemico finemente preparato a ricambiare i tuoi doni, se ne hai mai fatti. Eppure, basterebbe poco per sé e per gli altri. Come nel caso di un Piccolo Paese che per il troppo rumore sembra essersi svegliato e aver deciso di “riscuotere” dai propri abitanti.
Oggi Piccolo Paese sembra aver preso vita e ha deciso che andrà porta per porta a chiedere a ciascuno dei suoi quattro mila abitanti cosa ha fatto per Lui, se ha spostato una pietra per far spazio a un germoglio, se ha ripulito un marciapiede, e non solo quello davanti la sua porta, se ha pensato che quella è terra di nessuno, se fino a dove ci sta lui è casa sua e può fare ciò che vuole. Piccolo Paese sembra essersi svegliato e ha deciso che chiederà porta per porta ai suoi quattro mila abitanti se hanno mai scelto, voluto o desiderato di fare qualcosa per Lui. Se i suoi abitanti risponderanno “no, avrei voluto, non me l’hanno permesso, ma loro….!”, Piccolo Paese li caccerà, perché i suoi quattro mila abitanti non avevano capito che erano solo degli ospiti. Aver lasciato fare per troppo tempo aveva stufato anche Lui che, una mattina, si è svegliato,  stanco delle lamentele di chi lo accusava di essere spento, finito, morto, quando nessuno si preoccupava veramente di mettersi all’opera, ma solo di criticare l’altro in modo da poter giustificare il proprio non fare.  E’ facile! -diceva- Lasciar fare anche male e poi essere liberi di giudicare, senza nemmeno averci provato! Forse, proprio per questo criticano soltanto, perché vogliono nascondere la  paura di comprendere le situazioni e le persone che li circondano, di aprire la mente e vedere nuove prospettive, di uscire dal loro guscio che li ha resi ipocriti. 
Un piccolo paese visto da lontano. 
Ma Piccolo Paese oggi dorme ancora, per la fortuna dei suoi quattro mila abitanti, ma ancora speranzoso, aspetta un segnale, una carezza. E, nonostante tutto, sa bene che qualcuno da vicino o da lontano, lo ama e gli dimostra amore nel suo piccolo, in modo diverso ma lo fa, potrebbe fare di più e sa che, omettendo ciò che invece andrebbe detto o fatto, fa un errore ancora più grande. Piccolo Paese è stanco di essere solo contemplato da lontano, perché sa che è bello e anche facile, ma da vicino viverlo è assai più difficile, ed è dura la vita senza i suoi quattro mila abitanti. Avrà sempre bisogno di loro e loro di lui.
Vorrebbe fosse sempre campagna elettorale. Ogni anno, ogni mattina al bar, ogni sera al telefono, per ascoltarli discutere sul suo futuro, su ogni sua possibile prospettiva, su ogni eventuale proposta, perché i suoi abitanti si sveglino davvero e inizino davvero a vivere quello che, in realtà, è un grande paese.  

     

lunedì 10 marzo 2014

Un attimo tutto tuo in cui non pensare: contempla

Tra la frenesia dei giorni, tra un alternarsi di impegni, non ci fermiamo più tanto spesso a tirare le somme delle nostre giornate. Forse, appena la sera prima di dormire o con la faccia riflessa sul finestrino, riusciamo a concederci del tempo, ma più che per riflettere su noi stessi in maniera positiva, stiliamo una lunga lista della spesa da cui non ne usciamo più. Era meglio schiacciare un pisolino. 

Niente e nessuno ci dice quando farlo, ma almeno una volta a settimana dovremmo dedicare un po' di tempo a noi stessi: fermarci e soffermarci su ciò che si è fatto, che forse tutto accade per un motivo, che ancora è tutta da vedere, che abbassare la guardia per un momento e respirare non è tempo sprecato. Anche solo un albero o una panchina può bastare, per poggiarsi e finalmente godere del silenzio: non pensare, contempla. Basta io, basta perché, basta se e chissà. Un attimo di inconsapevolezza, un attimo di ascolto per quelli che sono i veri bisogni del cuore a cui, forse, poco diamo spazio. Quello che ci piace fare veramente, quella persona che ci fa stare bene, quel momento che deve ripetersi. Un soffio di vento, un colore caldo, un suono lontano da cui lasciarci ammaliare.

Tra la frenesia dei giorni e l'alternarsi dei nostri impegni, esiste un attimo tutto nostro in cui tirare le somme che tra alti e bassi (forse più bassi che alti) ci aiuterebbe ad affrontare meglio quel progetto, quella fatica, quel nostro essere frastagliato. Ma solo dopo aver spento per un attimo l'altoparlante che gridava di tornare alla cassa: noi staremo fermi un attimo là, poggiati al tronco di un albero a non pensare a nulla. Avremo preso un po' d'aria per il corpo, per la mente. 


Lucia G.

venerdì 7 marzo 2014

8 Marzo, Festa della donna: "Apparentemente fragile"

Cos'è per te la festa della donna? Mi sono chiesta, più volte. Un fiore, banale, ma ci può stare. Un augurio, dipende per cosa e da chi. Un simbolo, una manifestazione, una festa, un appuntamento. In effetti, il fiore scelto a simbolo della giornata internazionale delle donne è davvero ad hoc: la mimosa sboccia a marzo(con il freddo), apparentemente fragile ma che cresce dappertutto, dura poco,  ma con la giusta cura molto più a lungo. Questo il simbolo di lunghe lotte sociali e politiche che hanno un retrogusto ancora troppo amaro, piccole conquiste ancora troppo recenti e che ancora, ad oggi, guardano la donna solamente come a un fiore. Apparentemente fragile. 

Se nel Medioevo pensare alla donna era come ad un oggetto di compravendita,  le donzelle di oggi, per alcuni, non smettono di essere tali. Stamattina, andando in università, un tizio ha fischiato dall'auto, urlando a suo modo un complimento che, più che un sorriso, ha provocato in me un po' di sdegno! Certo, non sono tutti così (penserete) e meno male! Il fatto sta che certi atteggiamenti non mi fanno sentire libera e rispettata. La sensibilità (femminile, intendo) di una donna fa sempre scattare dei marchingegni che anche nell'uomo, seppur in maniera diversa, si muovono. Forse, vorrei si muovessero almeno nello stesso senso, augurandoci tutti la stessa cosa che si vorrebbe per la propria madre, figlia o fidanzata: che possa sentirsi libera e rispettata. Allora, per me la la festa della donna ancora oggi si erge come una richiesta, ma anche come una dichiarazione sorretta da uomini e donne: quell'essere apparentemente fragile che non giustifica, non permette ma è. Siamo. 

Lucia G.